Un brano che ci ricorda come il vero miracolo non sia mai stato parlare lingue sconosciute, ma comprendere la lingua del cuore di chi ci sta davanti.
Penso a quel primo mattino di Pentecoste. Una folla eterogenea, persone provenienti da terre lontane, ciascuna con la propria storia di sradicamento, di ricerca, forse di delusione. E poi, improvvisamente, l'incredibile sensazione di essere compresi. Non solo le loro parole, ma il loro cuore. Come se qualcuno conoscesse "da sempre il loro dolore, da sempre la loro gioia".
Non era questo il vero miracolo? Non le fiamme, non il vento impetuoso, ma l'intima connessione che si creava quando ogni persona presente sentiva raccontare le meraviglie di Dio nella lingua della propria storia personale.
Mi fermo a pensare a quante volte ho parlato di Dio usando un linguaggio tecnico, teologicamente ineccepibile, ma incomprensibile per chi mi ascoltava. Parole che rimbalzavano come sassi su uno specchio d'acqua, incapaci di penetrare oltre la superficie.
"Come hai fatto Tu, Signore, che hai lasciato il Tuo cielo per parlare la mia lingua..."
L'Incarnazione – il Verbo che si fa carne – non è forse il primo, straordinario atto di traduzione? Dio che sceglie di comunicare non nella lingua degli angeli, ma nel dialetto umano della fragilità, della vulnerabilità, della quotidianità.
"Spirito, insegnami oggi a vedere oltre i volti le ferite e le gioie, i silenzi e le attese..."
In un'epoca di comunicazione frenetica, dove le parole si moltiplicano ma il significato si diluisce, "Lingue Del Cuore" ci invita a una comunicazione più profonda, più autentica. Ci ricorda che parlare la lingua dell'altro non significa semplicemente usare parole che comprende, ma entrare con rispetto e tenerezza nel territorio sacro della sua storia.
Penso alle persone che incontro ogni giorno. Ognuna porta un vocabolario segreto, forgiato dalle esperienze vissute, dalle ferite ricevute, dalle gioie assaporate. Ognuna parla un dialetto dell'anima unico e irripetibile.
Forse è questo il miracolo quotidiano a cui siamo chiamati: diventare interpreti attenti delle lingue del cuore che ci circondano. Imparare non solo a parlare di Dio, ma a parlare la lingua di Dio – quella che comprende ogni sospiro, ogni lacrima, ogni domanda inespressa.
E quando questo accade, quando qualcuno si sente veramente compreso nella lingua della sua storia personale, qualcosa di Pentecoste rivive nel presente. Il cielo si apre, anche solo per un istante, e attraverso parole umane imperfette, risuona l'eco di una voce eterna che dice: "Ti comprendo. Ti vedo. Ti amo."
"Ti prego rinnova il miracolo anche in questo giorno..."